Infiltrazioni dal lastrico solare: per le SS.UU. rispondono sia il proprietario che il condominio

Con la sentenza n. 9449 del 10 maggio 2016 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in tema di responsabilità per danni prodotti all'appartamento sottostante dalle infiltrazioni di acqua piovana provenienti dal lastrico solare.

Innovando parzialmente un proprio precedente risalente al 1997 (SS.UU. n. 3672/1997), i Giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che

"allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all'amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ.) e all'assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ.). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all'uno o all'altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall'art. 1126 cod. civ., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio".

In altre parole, quando il lastrico è di proprietà o uso esclusivo di uno di un condomino, per la parte apparente, e quindi per la superficie, costituisce oggetto dell'uso esclusivo di chi abbia il relativo diritto; per l'altra parte, e segnatamente per la parte strutturale sottostante, costituisce cosa comune, in quanto contribuisce ad assicurare la copertura dell'edificio o di parte di esso.

Per tali motivi la responsabilità dei danni derivanti da infiltrazioni di acqua piovana all'appartamento sottostante deve essere attribuita in via concorrente al proprietario (o usuario) esclusivo e all'intero condominio.

Ciò, tuttavia, in proporzioni ed in virtù di titoli diversi.

Quanto al proprietario (o usuario) esclusivo, la Suprema Corte attribuisce ad esso la qualità di custode del lastrico solare, del quale è responsabile in conformità al disposto dell'art. 2051 c.c.; quanto al condominio, la funzione di copertura dell'intero edificio (o di parte dello stesso) svolta dal lastrico, determina in capo all'amministratore il dovere di eseguire tutti i controlli che si rendano necessari alla conservazione delle parti comuni, in conformità al disposto dell'art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., e in capo all'assemblea il dovere di provvedere alle opere di manutenzione di carattere straordinario, in virtù del contenuto dell'art. 1135, comma 1, n. 4, c.c.

La misura della responsabilità di ciascuno è poi stabilita dall'art. 1126 c.c., che, in tema di ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione, le imputa per un terzo al proprietario (o usuario) esclusivo del lastrico e per i restanti due terzi al condominio.

Ovviamente è fatta salva la prova da parte di quest'ultimo dell'imputazione del danno alla condotta colpevole del solo proprietario o del titolare del diritto esclusivo.

La soluzione, nel concreto, non diverge da quella del 1997, che già aveva distribuito la responsabilità nelle quote del terzo per il condominio e dei due terzi per il singolo proprietario-usuario.

All'epoca, tuttavia, diverso era l'inquadramento normativo che la Corte aveva effettuato.

Piuttosto che far riferimento al disposto dell'art. 2051 c.c., ed al generale principio del neminem laedere, i Giudici di Piazza Cavour avevano ricollegato la responsabilità in parola alla titolarità del diritto reale, configurandola quale immediata conseguenza dell'inadempimento dell'obbligo di conservare le parti comuni, posto a carico dei singoli condomini ex art. 1123, comma 1, c.c. e del titolare della proprietà superficiaria e dell'uso esclusivo ex art. 1126 c.c.

La giurisprudenza successiva non si era tuttavia uniformata all'impostazione data dalla Corte, essendosi registrate alcune decisioni che riconducevano tale responsabilità nell'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c.

Da ciò la nuova rimessione alle Sezioni Unite e la sentenza in commento.

La riconduzione di tale tipologia di danno nell'alveo della responsabilità civile comporta l'applicabilità alla fattispecie di tutte le norme in tema di responsabilità extracontrattuale, comprese quelle relative ai termini di prescrizione, nonché all'imputazione della responsabilità.

Conseguentemente potrà ritenersi responsabile esclusivamente il soggetto che risultava titolare del diritto di proprietà o dell'uso esclusivo del lastrico al momento del verificarsi del danno, escludendo l'eventuale acquirente successivo.

Trovano inoltre applicazione il principio della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. e l'intera disciplina dell'art. 2051 c.c. per quanto concerne i limiti alla esclusione della responsabilità del custode.

La sentenza n. 9449 del 10 maggio 2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte all'indirizzo http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/sentenze.page

Carta di credito: obbligo di custodia e di denuncia tempestiva alla banca in caso di furto

La corte di Cassazione, con sentenza Sez. I,  07 aprile 2016, n. 6751, si è pronunciata circa gli obblighi di custodia della carta di credito in capo al titolare  ed alle conseguenze derivanti dell'omessa custodia della stessa ed alla non tempestiva denuncia del furto.

In particolare, la Corte ritiene, nel caso di specie, che fosse accertato un grave inadempimento del cliente alle obbligazioni nei confronti dell'Istituto di Credito.

In particolare  il titolare della carta di credito:
  1. non aveva diligentemente custodito la carta di credito nella palestra ove aveva esercitato attività motoria, tanto da subirne il furto;
  2. non aveva diligentemente verificato il perdurante possesso della stessa carta , tanto da essersi accorto del furto solo nella giornata successiva ;
  3. non aveva tempestivamente avvisato la banca dell'avvenuta perdita di possesso.

In conseguenza delle circostanze sopra esposte,  l'Istituto di emissione è legittimato a contestare al titolare della carta una colpa, facendogli  corrispondere un importo pari agli  acquisti effettuati dal ladro nelle more della denuncia.

La sentenza n. 6751 del 07 aprile 2016 della Sezione I della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Siti web degli avvocati: il nuovo art. 35 del Codice Deontologico

Nella Gazzetta Ufficiale scorso n. 102 dello scorso 3 maggio è stata pubblicata la delibera con cui il Consiglio Nazionale Forense ha disposto la modifica dell'art. 35 del Codice deontologico forense (link).

Il nuovo art. 35 recita:
«Art. 35 - Dovere di corretta informazione».
1. L'avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.
2. L'avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti nè equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l'attività professionale.
3. L'avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l'Ordine di appartenenza.
4. L'avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche; specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.
5. L'iscritto nel registro dei praticanti può usare esclusivamente e per esteso il titolo di «praticante avvocato», con l'eventuale indicazione di «abilitato al patrocinio» qualora abbia conseguito tale abilitazione.
6. Non è consentita l'indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell'avvocato.
7. L'avvocato non può utilizzare nell'informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
8. Nelle informazioni al pubblico l'avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorchè questi vi consentano.
9. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.
10. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura.»
La modifica è volta a chiarire la portata della norma deontologica, aprendo alla libertà dei canali comunicativi (tramite l’inciso “quale che sia il mezzo utilizzato per rendere le informazioni”), ed eliminando il riferimento specifico alla disciplina dei siti web che la “vecchia” versione vietava nel caso di re-indirizzamento e/o in caso di contenuti di natura commerciale e/o pubblicitaria.

Qualsiasi mezzo è dunque ammesso (e dunque anche siti web con o senza re-indirizzamento), purché la informazione rispetti i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale e rispettando i principi cardine della professione di dignità e decoro.

Info: http://www.codicedeontologico-cnf.it/?tag=35-ncdf 
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