Responsabilità civile: della "truffa del bancomat" potrebbe rispondere anche la banca

Con sentenza n. 806 del 19 gennaio 2016 la Sezione I della Corte di Cassazione si è occupata di un caso di sottrazione di scheda bancomat mediante manomissione dello sportello bancario - c.d. ^truffa del bancomat^ - con successivi ampi prelievi dal conto del cliente, valutando i possibili profili di corresponsabilità della banca.

La fattispecie è nota.

Un cittadino si reca allo sportello bancomat della propria banca per effettuare un prelievo, ma questo trattiene la sua carta visualizzando sullo schermo l'avviso "carta illeggibile" e successivamente "sportello fuori servizio". Ingenuamente accetta l'aiuto di passante che così carpisce il pin della carta. Segnala immediatamente l'accaduto al vice direttore della filiale, il quale gli consiglia di tornare il giorno seguente per il recupero della carta. Ma il giorno seguente la carta non si trova e il cittadino scopre che in quello stesso giorno e in quello precedente ignoti avevano effettuato consistenti prelievi dal suo conto corrente. L'evento viene comunicato per iscritto al vice direttore e viene sporta regolare denuncia.

Il cittadino chiede allora alla banca di essere risarcito per il danno subito, ma sia il Tribunale che la Corte d'Appello rigettano la sua domanda, attribuendogli la negligenza di aver digitato il codice pin sotto gli occhi del truffatore, senza poi tempestivamente attivare il blocco, nonché di aver dato comunicazione solo verbale al vice direttore senza far menzione della presenza di un terzo.

Ricorrendo in Cassazione, il cittadino evidenzia come le pronunce di I e II grado non avessero preso in considerazione le negligenze della banca, e segnatamente:
- una condotta totalmente omissiva, in violazione dell'art. 1176, c. 2, c.c., a fronte della segnalazione immediatamente fatta dal cliente;
- la mancata messa in opera di strumenti idonei a garantire gli impianti da manomissione, dovendo rispondere, in mancanza, dei relativi rischi;
- la mancata attivazione a fronte di prelievi ripetuti e per importi superiori al plafond giornaliero contrattualmente previsto.

La Corte di Cassazione accoglie l'impostazione del ricorrente e censura la sentenza della Corte d'Appello per non aver valutato il comportamento della banca secondo il parametro della diligenza professionale qualificata ex art. 1176, c. 2, c.c.

Poiché lo stesso articolo, tuttavia, non specifica quale sia la misura della diligenza nelle obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale, è compito del Giudice verificare in concreto quanta diligenza avrebbe dovuto avere la banca sia nell'esercizio dell'obbligo di custodia di uno strumento esposto al pubblico, sia nell'attivazione di misure idonee a fronte dell'immediata, seppur verbale, notizia dell'accaduto, nonché di prelievi largamente eccedenti il plafond pattuito.  

Da ciò la cassazione con rinvio della sentenza di II grado.

La sentenza n. 806 del 19 gennaio 2016 della Sezione I della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Incendio in un capannone: il conduttore non risponde se è provata la causazione da parte di un terzo, anche se ignoto

Con sentenza n. 25221 del 15 dicembre 2015 la Sezione III della Corte di Cassazione affronta il tema della responsabilità del conduttore per perdita o deterioramento della cosa locata ex art. 1588 c.c. nella particolare fattispecie dell'incendio di un capannone.

Riconoscendo il principio della presunzione di colpa a carico del conduttore, il quale può liberarsi della responsabilità oggettivamente attribuitagli dalla norma solo dimostrando che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non sia a lui imputabile, la Corte ritiene non sufficiente a tal fine l'avvenuta esclusione della sua responsabilità in sede penale.

Tale circostanza, sostiene la Corte, non comporta di per sé l'identificazione della causa dell'incendio, occorrendo che questa sia nota e possa dirsi non addebitabile al conduttore.

Riprendendo un precedente in tal senso (Cass. n. 15721/15), secondo il Collegio, ciò che rileva ai fini della prova liberatoria è l'accertamento, secondo gli standards probatori del nesso eziologico propri del procedimento civile, improntati al "più probabile che non", che l'incendio sia ascrivibile ad un terzo, non essendo invece rilevante che si conosca la sua identità.

Diversamente ragionando, prosegue la Corte, il conduttore verrebbe a rispondere non di un inadempimento contrattuale (mancata o difettosa custodia e vigilanza sulla cosa locata), ma dell'insuccesso dell'attività di indagine, il cui compimento e la cui responsabilità non gravano su di lui. 

In altre parole, il caso fortuito, e dunque la dimostrazione della non imputabilità dell'incendio al conduttore ex art. 1588 c.c., è configurato già solo con l'accertamento positivo dell'origine dell'incendio in una causa comunque non imputabile al conduttore, senza che rilevi la mancata identificazione del terzo responsabile.

La pronuncia n. 25221 del 15 dicembre 2015 della Sezione III della Corte di Cassazione, nonché i precedenti richiamati, sono rintracciabili sul sito della Corte all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/..


Nascita indesiderata: risarcibilità del danno

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 25767 del 22/12/2015, sulla responsabilità medica per nascita indesiderata, a risoluzione di contrasto giurisprudenziale, , hanno affermato che:

a) la madre ha l'onere di provare la volontà abortiva, ma può assolvere a suddetto onere anche mediante presunzioni semplici;
b) il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da "vita ingiusta", poiché il nostro ordinamento ignora il "diritto a non nascere se non sano".

La sentenza Sezioni Unite  n. 25767 del 22/12/2015 della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Divorzio: niente mantenimento per il figlio maggiorenne fuoricorso all'Università

Per giurisprudenza consolidata il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa ove il genitore onerato dia la prova che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica oppure che, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita.

Nella fattispecie, in applicazione di tale principio, la sezione I della Corte di Cassazione con sentenza n. 1858 del 1 febbraio 2016 ha confermato la revoca dell'assegno di mantenimento disposta dalla Corte d'Appello dopo aver evidenziato come i coniugi avessero dato ai propri figli l'opportunità di frequentare l'Università.

Entrambi fuoricorso, avevano dimostrato di non averne tratto alcun profitto.

Da ciò il venir meno della ratio del mantenimento.

La sentenza n. 1858 del 1 febbraio 2016 della Sezione I della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/
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