Processo civile: rimanere contumaci non significa ammettere la fondatezza della domanda avversaria

Con ordinanza 4 novembre 2015, n. 22461, la Corte di Cassazione precisa che rimanere contumaci in giudizio non significa ammettere la fondatezza della pretesa avversaria.

L'art. 115 del codice di procedura civile, nella riformulazione operata dalla  Legge 18 giugno 2009, n. 69, dispone che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.

La novella del 2009 venne salutata come una piccola rivoluzione (link Altalex) nella misura in cui i fatti non contestati specificatamente assumono il valore di fatti provati con gli ordinari mezzi istruttori, che altrimenti nessun onere avrebbe il giudice di tenerne conto nella sua decisione.

Precisa, tuttavia, la Cassazione che tanto nella precedente quanto nell'attuale formulazione dell'art. 115, 1° comma c.p.c., la contumacia non implica l'ammissione tacita delle contestazioni e delle affermazioni della controparte, la quale resta obbligata a fornire le prove e dimostrare la veridicità di tutto quanto da lei sostenuto, né il giudice può trarre argomento di prova dalla contumacia.

La contumacia resta infatti un comportamento neutrale cui non può essere attribuita valenza confessoria, e comunque non contestativa dei fatti allegati dalla controparte, alla quale spetta in ogni caso proporre le prove a sostegno della propria domanda a norma di codice.
Copyright © www.studiospallino.it