Ricorso per Cassazione: il Giudice non deve accedere ad altre fonti che non il ricorso

Con sentenza n. 17 novembre 2015 , n. 23515, la Corte di Cassazione, sezione VI, precisa che dal solo contesto del ricorso deve essere possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo.

Diversamente, sottolinea la Corte, non è da ammettersi il ricorso "ove il ricorrente faccia riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito limitandosi meramente a richiamarli, senza debitamente riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame".

I motivi posti a fondamento della cassazione della decisione impugnata debbono infatti avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con - fra l'altro - l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l'interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Il ricorso deve offrire, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonché delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata.

In altri termini:  è indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo.

La sentenza n. 23515/2015 della sez. VI della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Processo civile: rimanere contumaci non significa ammettere la fondatezza della domanda avversaria

Con ordinanza 4 novembre 2015, n. 22461, la Corte di Cassazione precisa che rimanere contumaci in giudizio non significa ammettere la fondatezza della pretesa avversaria.

L'art. 115 del codice di procedura civile, nella riformulazione operata dalla  Legge 18 giugno 2009, n. 69, dispone che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.

La novella del 2009 venne salutata come una piccola rivoluzione (link Altalex) nella misura in cui i fatti non contestati specificatamente assumono il valore di fatti provati con gli ordinari mezzi istruttori, che altrimenti nessun onere avrebbe il giudice di tenerne conto nella sua decisione.

Precisa, tuttavia, la Cassazione che tanto nella precedente quanto nell'attuale formulazione dell'art. 115, 1° comma c.p.c., la contumacia non implica l'ammissione tacita delle contestazioni e delle affermazioni della controparte, la quale resta obbligata a fornire le prove e dimostrare la veridicità di tutto quanto da lei sostenuto, né il giudice può trarre argomento di prova dalla contumacia.

La contumacia resta infatti un comportamento neutrale cui non può essere attribuita valenza confessoria, e comunque non contestativa dei fatti allegati dalla controparte, alla quale spetta in ogni caso proporre le prove a sostegno della propria domanda a norma di codice.

Figlio nato morto: ammontare del danno non patrimoniale

La Suprema Corte, con sentenza n.12717 del 19.06.2015, ha precisato quale sia la tipologia di danno risarcibile in favore dei genitori in caso di figlio nato morto, in tema di responsabilità medica.

In particolare, è stato chiarito che, va sì risarcito il danno non patrimoniale per il figlio nato morto, ma nel quantificare il suddetto danno, non si può assimilare la morte di un feto, pur maturo e prossimo alla nascita, alla morte di un figlio.

La Suprema Corte ha sottolineato che per determinare il quantum del risarcimento  si deve tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, con particolare riguardo, nel caso di perdita di un figlio, alla "quantità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta".

Nel caso di figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale, "che avrebbe certamente  potuto instaurarsi, nella misura massima del  rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita".

La sentenza n. 12717 del 19/06/2015 della sez. III della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Appalto: responsabilità ex art. 1669 c.c. anche per opere successive alla costruzione

Con sentenza n. 22553 del 4 novembre 2016 la sez. II della Corte di Cassazione ha ribadito che la responsabilità per rovina e difetti di cose immobili prevista all'art. 1669 c.c. può essere invocata anche con riguardo al compimento di interventi di modificazione o riparazione afferenti ad un preesistente edificio o ad altra preesistente cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata, le quali, in ragione di vizi del suolo su cui l'opera si radica o di difetti della costruzione, rovinino, in tutto o in parte, o presentino evidente pericolo di rovina ovvero gravi difetti (anche essi riferiti all'opera innovativa, non già all'edificio pregresso).

Di conseguenza, anche gli autori di tali interventi di modificazione o riparazione - gli esecutori delle opere integrative - possono rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. allorché le opere realizzate abbiano una incidenza sensibile o sugli elementi essenziali delle strutture dell'edificio ovvero su elementi secondari od accessori, tali da compromettere la funzionalità globale dell'immobile stesso.

Ciò sulla base della considerazione - fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità - per cui l'"opera" cui allude la norma non si identifica necessariamente con l'edificio o con la cosa immobile destinata a lunga durata, ma ben può estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o riparativo, eseguito successivamente all'originaria costruzione dell'edificio, con la conseguenza che anche il termine "compimento", ai fini della delimitazione temporale decennale della responsabilità, ha ad oggetto non già l'edificio in sé considerato, bensì l'opera, eventualmente realizzata successivamente alla costruzione dell'edificio.

Allo stesso modo, quanto ai difetti della costruzione, l'etimologia del termine "costruzione" non necessariamente deve essere ricondotta alla realizzazione iniziale del fabbricato, ma ben può riferirsi alle opere successive realizzate sull'edificio pregresso, che abbiano i requisiti dell'intervento costruttivo.

La sentenza n. 22553 del 4/11/2015 della sez. II della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ .

Locazione finanziaria: rimedi in caso di vizi del bene locato

Con sentenza n. 19785 del 5 ottobre 2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito quali siano i rimedi esperibili dai soggetti coinvolti in un contratto di leasing finanziario in presenza di vizi del bene oggetto dei collegati contratti di fornitura e di leasing.

Le SS. UU. innanzitutto ricordano che il canone di buona fede, che agisce quale strumento integrativo del contratto, comporta, da un lato, l'obbligo dell'utilizzatore di informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante, e, dall'altro, l'obbligo a carico del concedente di solidarietà e di protezione verso l'utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi.

La risposta al quesito passa per la distinzione dell'ipotesi in cui i vizi siano immediatamente riconoscibili dall'utilizzatore da quella in cui gli stessi si manifestino successivamente alla consegna.

Il primo caso, secondo la Corte, deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicché il concedente, una volta informato del fatto che l'utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all'uso, ha rifiutato la consegna, ha l'obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell'inadempimento, l'azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing.

Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell'utilizzatore.

Il secondo caso, prosegue la Corte, sicuramente consente all'utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Ma, laddove ne ricorrano i presupposti, anche in questo caso il concedente, informato dall'utilizzatore dell'emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico - e non la facoltà - di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte la conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione.

In ogni ipotesi, infine, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente in costanza del godimento del bene viziato.

La sentenza n. 19785 del 5/10/2015 delle S.U. della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ .

Responsabilità: cosa in custodia

La Corte di Cass., Sez. III, 21.09.2015 n. 18463 ha ribadito il principio secondo cui il caso fortuito, rilevante ai fini dell'esclusione della responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., può derivare anche dal fatto colposo del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 c.c.

In particolare, nel caso sottoposto all'attenzione della Suprema Corte, al comportamento colposo dell'A.C. che aveva omesso di rimuovere una buca di "notevole dimensione", si  affiancava la responsabilità della danneggiata la quale, benché ipovedente", consapevolmente aveva attraversato la via pur non essendo in grado di avvistare tutti gli eventuali ostacoli presenti sul tragitto", sicché la responsabilità della caduta doveva essere ripartita in maniera paritaria tra le parti , ovvero A.C. e danneggiata.

 La sentenza n. 18463 del 21.09.2015 della sezione III Civile della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Casa familiare: tutela possessoria per il convivente assegnatario non proprietario

Con sentenza n. 17971 dell'11 settembre 2015, la sezione I della Corte di Cassazione ha chiarito che nelle convivenze more uxorio, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporti di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile.

Egli è detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente.

Per tale ragione, l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio.

La sentenza della Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 17971 del 11/09/2015 è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Locazione: senza forma scritta è nulla.

Con sentenza n. 18214 del 17/09/2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito che che il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta in violazione dell’art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998, è affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio, vera la natura di contrasto all’evasione fiscale della norma.

Fa eccezione l’ipotesi in cui la forma verbale sia stata imposta dal locatore, nel qual caso l’invalidità è una nullità di protezione del conduttore, solo da lui denunciabile.

La sentenza n. 18214 del 17/09/2015 delle S.U. della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ .

Casa coniugale: il terzo acquirente può far accertare l'insussistenza del diritto di assegnazione

La Cassazione, Sezione I Civile ha statuito che il terzo acquirente della casa coniugale, già assegnata al coniuge affidatario del figlio minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente, non è legittimato, a chiedere, venuti meno i presupposti per l'assegnazione della casa medesima, la revisione dell'assegno di mantenimento ai sensi dell'art. 9, L.898 del 1970 , ma può instaurare un giudizio ordinario di cognizione per far accertare l'insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, con conseguente richiesta di declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l'occupazione della medesima casa coniugale.

La sentenza n. 15367 del 22.07.2015 della sezione I Civile della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Danno da prodotto difettoso: il danneggiato deve provare il nesso causale tra difetto e danno

Con sentenza n. 13225 del 26 giugno 2015, la sezione III della Corte di Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato in tema di danno da prodotto difettoso: la responsabilità del produttore, si afferma, ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della sua colpevolezza, tuttavia, essa non prescinde anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto.

Grava, dunque, sul soggetto danneggiato la prova del collegamento causale non già tra “prodotto” e danno, bensì tra “difetto” e danno.

Solo a seguito del raggiungimento di tale prova viene a gravare sul produttore la dimostratio della causa liberatoria insita nel fatto che il difetto riscontrato non esisteva quando egli ha posto il prodotto in circolazione, ovvero che all'epoca non era riconoscibile come tale a causa dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche in materia.

La sentenza della sezione III della Corte di Cassazione n. 13225 del 26/06/2015 è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Risarcimento del danno non patrimoniale: è escluso il risarcimento agli eredi a seguito di morte immediata della vittima

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite,  con sentenza n.15350 del 22.07.2015 ha statuito che nel caso di morte immediata o che segua entro un brevissimo lasso di tempo alle lesioni non possa essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis.

Secondo la Suprema Corte nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l'irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.


Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico "vita" che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente.

La sentenza n. 15359 del 22.07.2015 Sezioni Unite della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Assegno divorzile: assegno di mantenimento e tenore di vita

La Cassazione Civ, Sez.I, con sentenza n. 11870 del 09.06.2015 ha affermato il principio secondo cui il richiedente l'assegno divorzile non ha diritto allo stesso se non fornisce alcuna prova circa l'oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per consentire un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio.

Sostanzialmente l'accertamento del diritto all'assegno divorzile si articola in due fasi:

  • nella prima,  il giudice verifica l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto;
  • nella seconda,  il giudice procede alla determinazione in concreto dell'ammontare dell'assegno che va compiuto tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle  regioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del  reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

Nell'ambito di questo duplice accertamento assumono rilievosotto il profilo dell'onere probatorio, le risorse reddituali e patrimoniali di ciascuno dei coniugi, quelle effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari , nonché le rispettive potenzialità economiche.

La sentenza della  Corte di Cassazione, Sez. I  n. 11870 del 09.06.2015 è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Garanzia per vizi della cosa venduta: da quando decorre il termine per la denuncia?

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, la Cass.Civ., sezione II, con sentenza del  29 ottobre 2015, n.22107, ha ribadito il principio secondo cui , ai fini della decorrenza del termine breve di otto giorni per la denuncia, solo per il "vizio apparente", che è quello rilevabile attraverso un rapido e sommario esame del bene utilizzando una diligenza inferiore a quella ordinaria, il dies a quo" decorre dal giorno del  ricevimento della merce, mentre per gli altri vizi il termine decorre dal momento "scoperta", la quale si ha allorquando il compratore abbia acquistato "certezza" (e non semplice sospetto) che il vizio sussista.


Pertanto, in tema di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo all'altro , l'art. 1511 c.c., facendo decorrere il termine per la denuncia dei vizi dal ricevimento, impone un onere di diligenza a carico del compratore, consistente nel dovere di esaminare con tempestività la merce, ponendosi così in grado di rilevare i difetti eventuali anche se, del caso , con mera indagine a campione.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 22107 del 29.10.2015, sez.II, è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Cappelle funerarie: la revoca decadenziale è sempre ammessa

Il quotidiano della P.A. dà notizia della sentenza n. 4943 del 28 ottobre 2015, con cui il Consiglio di Stato adito (V Sezione), ha rilevato che se nei rapporti interprivati relativi allo jus sepulchri, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno demaniale, lo ius sepulchri non preclude tuttavia l’esercizio dei poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione concedente, sicché sono configurabili interessi legittimi quando sono emanati atti di autotutela.

In questa prospettiva, quindi, dalla demanialità del bene discende l'intrinseca "cedevolezza" del diritto, che trae origine da una concessione amministrativa su bene pubblico.

L'articolo Occhio a vendere la tomba di famiglia: il demanio 'sfratta' i defunti è disponibile all'indirizzo http://www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2015/ottobre/1446099906446.html.

Immissioni: risarcimento del danno non patrimoniale anche senza danno alla salute

Con sentenza n. 20927 del 16 ottobre 2015 la sezione III della Corte di Cassazione ha chiarito che in caso di immissioni che superino la soglia di tollerabilità, è dovuto il risarcimento del danno alla persona anche in assenza di un pregiudizio alla salute, a condizione che risulti leso il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane.
Ciò anche in ragione del rilievo che l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo attribuisce al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare.

La sentenza 16 ottobre 2015 n. 20927 della sezione III della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo  http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Condominio: anche i condomini potenzialmente in conflitto d'interessi sono conteggiati nei quorum

Con sentenza n. 19131 del 28 settembre 2015 la sezione II della Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale le maggioranze necessarie per approvare le deliberazioni assembleari sono quelle inderogabilmente previste dalla legge, ai fini sia del conteggio del “quorum” costitutivo che di quello deliberativo, ed includono anche i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, che possono astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Ferma la possibilità, per ogni partecipante, di adire l'autorità giudiziaria per impossibilità di funzionamento dell'assemblea in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria.

La sentenza 28 settembre 2015 n. 19131 della Corte di Cassazione, sezione II, è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/
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